Ciapà mal

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Ciapà mal

Chissà come reagisce Google a questo titolo… ma sicuramente quelli del Nordest capiscono al volo e gli altri possono arrivarci. “Ciapà mal” è come risponderei a un vicentino alla domanda “Come va?”, non vuole dire che stai male, ma solo che sei incasinata. Nel mio caso ci sono anche un po’ di clienti, diciamo tre, fai cinque, presi dalla sindrome di fine anno (e li capisco). Manca un mese a Natale, c’è tanta carne al fuoco, una trasferta in Kazakistan che complica tutto.

Che si fa quando si è “ciapà mal”? Istintivamente ci si dispera, ma non serve a nulla. Qui in ufficio fanno partire da iTunes una cosiddetta sigla, mi mettono i REM (Shiny happy people)  in apertura di giornata, se ci sono anche in chiusura si va su Bublé (Home). Un po’ funziona. Poi mi razionano social network e navigazioni libere (peccato perchè per me è la principale alimentazione del sistema informativo, pardon nervoso). Da parte mia ho reagito con un week end senza fretta, un po’ di divertimento e molto studio (non so bene qual è la differenza per me tra studiare e lavorare, ma questo sarà un altro post).

La cosa più importante è che in queste condizioni si rivede criticamente il proprio metodo di lavoro e quindi, anche se sono di volata, non posso non segnalarvi questo post di Mauro Lupi che attacca con “Il mestiere nel mestiere. Svolgere il proprio lavoro e nel contempo studiare per adeguarlo ai continui cambiamenti.” Allargherei l’ambito di applicazione fuori dalle professioni legate alle nuove tecnologie.

I miei five cents per gli altri che oggi si sentono “ciapà mal”:

  • guardarsi lavorare per un po’
  • concedersi un po’ di studio travestito da lavoro
  • ricordarsi che non facciamo nè i pompieri nè i trapiantori di organi
  • smettere di scrivere questo post e andare a “lavorare”